domenica 13 maggio 2012

CRISI EUROZONA

DA: http://www.investireoggi.it/news/inchiesta-crisi-eurozona-debiti-sovrani-una-crisi-annunciata/

Inchiesta Crisi Eurozona 1° – Debiti sovrani: una crisi annunciata

 I due «mayday» ignorati da Bruxelles: la bolla dei mutui subprime del 2007 e il boom del debito greco negli anni successivi all’entrata in vigore dell’euro

A dieci anni dall’entrata in vigore della moneta unica, il «Progetto Europa» di

Jean Monnet,
François Perroux
e Robert Schuman

i padri fondatori dell’UE
sta vivendo una delle pagine più buie della propria storia.
Difficilmente la débâcle finanziaria dell’eurozona lascerà gli equilibri continentali inalterati. In attesa che Bruxelles getti le basi per il rilancio politico oltre che economico dell’eurozona, è doveroso soffermarsi ad analizzare gli eventi che hanno trascinato un’intera regione in balia della speculazione.
I punti interrogativi sono tanti, forse troppi.

Perché il motore europeo, progettato per massimizzare le prospettive economiche dei propri membri, si è ingrippato a soli dieci anni di distanza dall’introduzione della moneta unica?

Com’è possibile che gli eurocrati di Bruxelles non siano stati in grado di identificare il sopraggiungere della crisi e quindi lanciare il «mayday» per tempo?

DALLA CRISI DEI SUBPRIME A QUELLA DEI DEBITI SOVRANI.
La crisi dei debiti sovrani parte da lontano. Ad aver indubbiamente contribuito a innescarla è stata la precedente crisi dei mutui subprime che, inizialmente confinata Oltreoceano, si è espansa a macchia d’olio contagiando l’Europa.
Per mantenere solvibili le economie domestiche, le banche centrali dei Paesi dell’Eurozona maggiormente colpiti dalla crisi reperiscono liquidità avvalendosi di uno dei meccanismi cardine dell’Eurosistema: TARGET2.

Questo meccanismo, seppure concepito con lo scopo di regolamentare in tempo reale gli squilibri all’interno della bilancia dei pagamenti dei Paesi dell’eurozona, ha progressivamente preso le sembianze di un Salva-Stati fornendo risorse al sistema economico e finanziario del Vecchio Continente.

Tale liquidità è stata, di fatto, trasferita dai Paesi finanziariamente più solidi – come Germania e Olanda – ai Paesi meno virtuosi creando – di conseguenza – uno squilibrio di saldo all’interno delle diciassette banche centrali dell’Eurosistema: da una parte le banche centrali dell’area nordeuropea con saldi positivi nei propri rapporti creditizi con l’Eurosistema, dall’altra le banche centrali debitrici.
In un sistema economico articolato come quello europeo è naturale che vi siano degli squilibri a livello domestico (a livello consolidato debiti e crediti si cancellano).
Questi sono talvolta necessari e fisiologici se mantenuti entro certi limiti. Tuttavia, nel caso di TARGET2 gli squilibri di saldo sono cresciuti in maniera esponenziale nel corso dell’ultimo quinquennio.
È difficile credere che un simile trend sia sostenibile nel lungo termine perché ciò rischierebbe di irreversibilmente compromettere i meccanismi interconnessi al TARGET2: la moneta unica e il mercato unico.

CRISI GRECA E LA STRATEGIA ATTENDISTA DI BRUXELLES.
C’è poi il caso-Grecia. Le finanze elleniche si sono progressivamente deteriorate nell’arco del nuovo millennio. Ad aver contribuito al crack greco sono stati una lunga serie di fattori: il passaggio dalla dracma all’euro nel 2002, le Olimpiadi del 2004 e l’assenza di rigore fiscale.
Tali elementi hanno fatto sì che il rapporto tra debito pubblico e Pil sia cresciuto dal 94% del 1999 ai livelli attuali.
Nel corso dell’ultimo biennio Bruxelles ha vissuto passivamente il dramma greco.

Resta un mistero il motivo per cui le istituzioni europee, nonostante il varo di una prima tranche di aiuti finanziari al Paese ellenico già nel maggio 2010,  non abbiano agito con maggiore fermezza, preferendo, invece, di abbandonarsi al corso degli eventi e quindi trascinare nel vortice della crisi un intero continente.

Inchiesta Crisi Eurozona /2 – TRE SCENARI PER LA MONETA UNICA

La crisi dei debiti sovrani sta mettendo a repentaglio la sopravvivenza dell’euro. Tre scenari per comprendere il futuro politico-monetario dell’Europa.

Se davvero Eurolandia dovesse iniziare a sgretolarsi, quali sarebbero gli scenari e quali le conseguenze politico-economiche?
Sono tre i principali scenari ipotizzabili.

Un primo scenario potrebbe vedere la totale dissoluzione della moneta unica.

Un secondo potrebbe comportare la creazione di due aree monetarie europee (una nord-europea e una sud-europea),

mentre un terzo vedrebbe una o più nazioni venir escluse dall’Eurozona.

LA DISSOLUZIONE DELL’EURO
La storia ci insegna che la dissoluzione di aree monetarie va a braccetto con la dissoluzione di realtà geo-politiche.

Il rublo, per esempio, non ebbe vita lunga dopo la caduta del blocco sovietico.

Anche quando la stessa Cecoslovacchia si divise in Repubblica Ceca e Slovacchia, entrambe le neonate nazioni adottarono unità monetarie differenti.

Qualora l’euro cessasse di esistere, è probabile che le nazioni di Eurolandia ripristinino quelle stesse monete che ebbero corso legale sino al gennaio 2002.

Al fine di tutelare il mercato comune e al tempo stesso ridurre il derivante rischio di cambio, una banda di oscillazione valutaria potrebbe essere adottata.
Tuttavia, la dissoluzione dell’euro vanificherebbe tutte le politiche comunitarie attuate dall’Europa unita nel corso degli ultimi decenni e comporterebbe al ridimensionamento, se non alla caduta, dell’UE.

LA CREAZIONE DI DUE AREE MONETARIE EUROPEE
Austria, Finlandia, Germania e Olanda – guarda caso tutte nazioni del Nord Europa – potrebbero lasciare l’euro.
È l’opinione di Hans-Olaf Henkel, l’ex presidente dell’Associazione degli Industriali Tedeschi.
Qualora queste nazioni abbandonassero l’euro e adottassero o le vecchie valute nazionali o – più semplicemente – creassero un “euro forte” – e quindi in contrapposizione a un “euro debole” adottato dai rimanenti paesi di Eurolandia – le conseguenze politico-finanziarie sarebbero irreversibili.
Il mercato boccerebbe l’euro debole, il quale finirebbe per svalutarsi ulteriormente penalizzando non solo la bilancia commerciale delle nazioni sud-europee, ma anche incidendo negativamente sui rendimenti dei buoni del tesoro di taluni paesi.
L’euro forte, invece, si rivaluterebbe nel breve periodo danneggiando le esportazioni delle nazioni nord-europee – in particolar modo quelle tedesche – mentre il settore bancario di questi paesi sarebbe costretto a ricapitalizzare il patrimonio perché le proprie attività – inizialmente denominate in “euro debole” – avrebbero valutazioni minori una volta convertiti in “euro forte”.
Di conseguenza, anche le economie della neonata zona nord-europea entrerebbero in crisi e nel medio periodo le quotazioni sia dell’euro forte sia dell’euro debole convergerebbero.
Anche in questa istanza – come nel caso della dissoluzione dell’euro – la creazione di due valute europee rappresenterebbe il primo passo verso lo smembramento dell’UE.

L’ESCLUSIONE DI UNA O PIÙ NAZIONI DA EUROLANDIA
A rigore di logica questa rappresenterebbe la soluzione più fattibile.
La prima nazione a uscire da Eurolandia sarebbe la Grecia.
Se ciò si verificasse, la neonata moneta greca, la dracma, verrebbe istantaneamente travolta dalla sfiducia dei mercati e, svalutandosi, accrescerebbe a dismisura il debito pubblico decretando il fallimento della Grecia – anche a fronte dell’immissione di nuovi capitali europei nelle casse del Paese.

Lo scenario che ne seguirebbe non sarebbe dissimile da quanto accadde in Argentina agli arbori del 2002 quando il paese sudamericano annunciò sia il default sulle obbligazioni internazionali sia l’abbandono dell’ancoraggio del peso argentino al dollaro statunitense.
Tuttavia, l’economia argentina, a dispetto delle più funeste previsioni, si risollevò già l’anno seguente segnando un incremento del Pil pari al 9%, un tasso di crescita mantenuto nell’arco del successivo quinquennio.

UN PERICOLOSO «EFFETTO DOMINO»

È bene precisare che un ipotetico abbandono della Grecia dall’euro potrebbe innescare una serie di imprevedibili reazioni a catena.
La furia degli speculatori potrebbe, infatti, ulteriormente accanirsi su tutte quelle nazioni caratterizzate da un alto debito pubblico – Portogallo, Italia, Spagna e probabilmente Irlanda – spingendo altri paesi fuori da Eurolandia.
Se un’ipotetica uscita di Grecia e Portogallo da Eurolandia – le cui economie pesano rispettivamente del 3% e 2% sul Pil aggregato dei 17 paesi che adottano la moneta unica – potrebbe incidere, almeno in teoria, relativamente poco sulle sorti economiche dell’élite monetaria europea, lo scenario potrebbe cambiare se Italia e Spagna – le cui economie equivalgono rispettivamente al 16% e 13% del Pil di Eurolandia – fossero costrette ad abbandonare la moneta unica.



Inchiesta Crisi Eurozona /3 – GRECIA: IL MANUALE DELLA BANCAROTTA PERFETTA

Alla scoperta della crisi economica greca. I quattro elementi che hanno trascinato il Paese ellenico (e l’Europa) in un vicolo cieco

Sono quattro gli elementi che hanno contribuito alla creazione del debito pubblico greco:

l’economia sommersa (leggasi evasione fiscale),
la corsa alle grandi opere,
gli sprechi della cosa pubblica e,
infine, il sistema previdenziale.

L’ECONOMIA SOMMERSA. In Grecia l’evasione fiscale corrisponde al 30-40% del Pil, l’equivalente di circa 120 miliardi di euro annui.

Eludere il fisco è diventata una prassi radicata nella cultura greca e principalmente basata sul concetto di fakelaki (“bustarella”).

È prassi consolidata dichiarare al fisco un reddito inferiore a quello reale nella speranza di bypassare i controlli.

Nella malaugurata ipotesi che la Guardia di Finanza greca scopra il reddito imponibile reale, è possibile pattuire (in nero) una cifra con gli esattori.

I canoni variano tra i 2 e i 10 mila euro.

Per comprendere le proporzioni di questo fenomeno, basti pensare che solamente cinquemila abitanti su un totale di quasi 12 milioni hanno dichiarato al fisco un reddito annuo superiore ai 100 mila euro.

Il fenomeno assume vaste proporzioni se si osservano da vicino i dati relativi al mercato immobiliare.

60 mila abitazioni hanno una valutazione superiore al milione di euro, molte delle quali edificate nel quartiere residenziale più esclusivo di Atene, Kifissia.

Nello stesso quartiere di Kifissia al catasto risultano solamente trecento ville con piscina contro le oltre 20 mila stimate.

Per identificare gli evasori (il possedere una villa con piscina è indice di benessere)la Guardia di Finanza si è affidata a ricognizioni in elicottero e a Google Maps. Per aggirare i controlli, i residenti sono soliti acquistare teloni e coperchi su misura per camuffare le piscine.

I COSTI DELLE GRANDI OPERE.
Atene ha ospitato le Olimpiadi del 2004.
L’organizzazione dei giochi olimpici ha comportato investimenti pari a 10 miliardi di euro, una somma molto superiore rispetto ai 4,5 miliardi originariamente stanziati. Il solo Villaggio Olimpico, realizzato nella piana di Maroussi, è costato 600 milioni. I dieci miliardi non comprendono le spese incorse per la realizzazione di opere non direttamente collegate alle Olimpiadi, tra cui il nuovo aeroporto intitolato allo statista Eleftherios Venizelos (1,5 miliardi di euro), il nuovo nodo della tangenziale ateniese e due nuove linee della metropolitana (costo complessivo di 2 miliardi di euro).

Complici l’assenza di barriere e di un sistema di controllo, sono pochi gli ateniesi che si muniscono di biglietto prima di salire a bordo della avveniristica linea metropolitana.

La società che gestisce le linee sotterranee ha ricavi annuali di soli 80 milioni, una cifra troppo esigua per ricuperare l’investimento iniziale.

AMMINISTRAZIONE PUBBLICA ED ENTI FANTASMA.






Se da una parte l’evasione riduce ogni anno il Pil greco di 120 miliardi di euro, dall’altra è l’assenza di rigore nella gestione della spesa pubblica ad aver contribuito alla creazione della mole debitoria di Atene. I salari e le pensioni del settore pubblico incidono dell’80% sulla voce spese. I dipendenti pubblici sono 750 mila, l’equivalente del 20% della popolazione attiva.

Lo stipendio medio dei dipendenti pubblici è raddoppiato nel corso dell’ultima decade. L’amministrazione pubblica è generalmente ben retribuita.
Un dipendente ferroviario (includendo gli addetti alle pulizie e alla manutenzione) percepisce in media 70 mila euro.

Vi sono poi gli sprechi istituzionali. Si calcola che per ogni auto blu in circolazione vi siano ben 50 autisti. In media, includendo i giorni festivi, un autista è al volante 7 giorni all’anno. Inoltre, vi è poi il particolare caso di Kopais, un lago artificialmente prosciugato a cavallo tra la fine del diciannovesimo e l’inizio del ventesimo secolo. L’ente pubblico preposto alla salvaguardia del lago, tuttora in essere, è costato ai contribuenti ellenici circa cento milioni di euro.

IL SISTEMA PREVIDENZIALE GRECO.

Le persone iscritte agli albi professionistici di “mansioni stancanti” – tra cui

cuochi,
annunciatori radiofonici,
parrucchieri ed estetisti

possono richiedere il pensionamento all’età di 50 anni se donne, 55 se uomini,

ricevendo il 95% dello stipendio percepito nell’arco dell’ultimo anno lavorativo. Un tale sistema ha permesso a molti greci di attuare una colossale truffa ai danni dell’erario.

La prassi è la seguente.

Per anni si evade il fisco dichiarando un reddito imponibile minimo ricorrendo – qualora necessario – allo stratagemma del fakelaki.
In prossimità dell’età pensionabile, si dichiara al fisco il reddito reale e s’inoltra allo Stato la richiesta di congedo portandosi a casa la liquidazione e una pensione pari al 95% dell’ultimo salario.


INTERVISTA A PAOLO BARNARD: È IN CORSO UN COLPO DI STATO FINANZIARIO?

InvestireOggi.it ha rivolto al noto giornalista Paolo Barnard alcune domande sulla crisi dei debiti sovrani e, più in generale, sul ruolo ricoperto dalle élite di potere (i “rentiers”, gli esponenti del “Vero Potere”) all’interno del quadro politico-economico internazionale

30-03-2012, ore 15:37 - 10 Commenti Commenta

Paolo Barnard durante il Summit MMT 2012
Stefano Fugazzi di InvestireOggi.it, ha rivolto al noto giornalista Paolo Barnard alcune domande sulla crisi dei debiti sovrani e, più in generale, sul ruolo ricoperto dalle élite di potere (i “rentiers”, gli esponenti del “Vero Potere”) all’interno del quadro politico-economico internazionale.

Stefano FugazziIn data 24-26 febbraio si è tenuto a Rimini un convegno sulla Modern Market Theory intitolato “Questo è un colpo di Stato finanziario”. Ti sei impegnato in prima persona per portare in Italia un gruppo di economisti di fama internazionale. Quali erano gli obiettivi del convegno?
Paolo Barnard – L’obiettivo del convegno di Rimini era di avvicinare il pubblico italiano alla Modern Money Theory (MMT) e quindi promuovere il ritorno dello Stato a moneta sovrana alle sue funzioni più alte, quelle messe in atto dal 1946 al 1956 dagli Stati Uniti del boom economico più possente della Storia dell’umanità. La MMT ci descrive la salvezza da un disegno distruttivo e iniquo che sta minando tutto ciò che noi conosciamo come crescita, benessere, democrazia: il Neoliberismo dei nuovi “rentiers” europei, il peggiore mai esistito.

Stefano Fugazzi – Micheal Hudson, uno dei relatori del convegno sulla MMT, ha fatto riferimento a “un colpo di Stato finanziario”.
Paolo Barnard – Ciò che sta accadendo all’Europa della crisi non è solo frutto di accidenti finanziari e dissesti di bilanci statali, né di una crisi sistemica delle bilance commerciali o altro. Vi sono forze al lavoro in Europa che mirano alla distruzione delle dinamiche del Capitalismo stesso. E non sono affatto forze marxiste, per carità. Al contrario, e peggio. Va compresa, qui, la differenza fra Europa e Stati Uniti. Negli Stati Uniti il Capitalismo si è sviluppato su una terra nuda, tragicamente ripulita della sua popolazione autoctona, ma nuda di ogni presenza delle forze dell’Ancien Régime europeo. Il Capitalismo americano è nato dinamico, pragmatico, e con un’istintiva connotazione verso la “Funzione del Consumo”, che oltre un secolo e mezzo più tardi verrà descritta dall’economista inglese John Maynard Keynes. Negli USA, il Potere maggiore fino ai primi anni ’90 ha sempre badato a mantenere in vita il fondamentale principio secondo cui è la Spesa che genera il Risparmio e dunque il successivo Investimento e i Consumi, da cui viene il profitto. Questa centralità della capacità di spendere valeva sia per lo Stato americano, che ha creato la maggiore ricchezza nella sua storia spendendo a deficit di bilancio fino al 25% del Pil, sia per il settore non-governativo, cioè il privato, dove l’elemento dei consumi (spesa) è sempre stato in primo piano. Ecco il Capitalismo all’Americana, almeno prima della recente mutazione nella folle sfera finanziaria speculativa.

Stefano Fugazzi – Il Capitalismo “a stelle e strisce” è poi sbarcato in Europa.
Paolo Barnard – Precisamente. Questo Capitalismo è sbarcato in Europa dopo la seconda guerra mondiale, con un buon successo. Intendo dire un successo di pubblico, e con la partecipazione confusa e ignorante della classe politica. In Europa, tuttavia, i gangli del Potere tradizionale – quello che ereditò gli ideali dell’Ancien Régime, del Neomercantilismo tedesco e francese, che transitò trasversalmente nel nazismo, e che fu pregno di appoggi nelle sfere vaticane – ha sempre visto il Capitalismo americano come un’aberrazione. Non certo per le sue derive eccessivamente consumistiche, ma, al contrario, solo perché persino quel minimo di contenuto democratico che esso mantiene – cioè la necessità della presenza di una popolazione tutelata abbastanza affinché consumi – era visto come un’insidia inaccettabile nelle mire fondamentali di questo Potere tradizionale europeo. Queste mire erano, e sono tuttora, la distruzione di qualsiasi potere popolare e democratico, e l’imposizione, anzi, il ritorno in Europa di un nuovo ordine sociale di tipo para-feudale, con a capo quelli che già Adam Smith e David Ricardo definivano i “rentiers”.

Stefano Fugazzi – Chi erano i “rentiers” di allora?
Paolo Barnard – I “rentiers” erano, e rimangono nel presente, i rampolli delle nobiltà e delle tecnocrazie europee che ritengono loro diritto “divino” non solo governare i popoli ritenuti masse ignoranti, ma anche prelevare tutta la ricchezza possibile dal lavoro di altri. E questo salasso ha colpito e sta colpendo anche voi imprenditori proprio oggi. Non è necessario ricordare che per questo identico motivo in Francia nel 1789 scoppiò una rivoluzione. Quell’evento li marginalizzò per un periodo, ma poi i “rentiers” tornarono e oggi governano l’Unione Europea.

Stefano Fugazzi – Volendo fare qualche nome, chi sono gli esponenti contemporanei di questa élite di potere?
Paolo Barnard – I loro esecutori materiali nell’UE moderna sono (o sono stati) i potentissimi tecnocrati come Herman Van Rompuy, Olli Rehn, Jaques Attali, Jacques Delors, Lorenzo Bini Smaghi, Mario Draghi, Juncker e Weigel fra i tanti. Sono i decisori finali dei nostri destini, coloro che decidono nelle stanze chiuse di Francoforte o Bruxelles se lei avrà mercato o se invece soccomberà, alla lettera, coi loro Trattati vincolanti per ogni parlamento europeo. “Rentiers” sono divenuti i finti imprenditori (come Montezemolo o De Benedetti in Italia) che scommettono su rendite da “clienti prigionieri” dei servizi essenziali forzosamente privatizzati e riuniti in monopoli privati (la Captive Demand), violando ogni regola di libero mercato reale; i capitani Neomercantili delle multinazionali dell’acciaio, metalmeccaniche o dell’high-tech franco-tedesche, le cui strategie di profitto hanno abbandonato la virtuosità del libero mercato reale e si basano solo sulla deflazione dei redditi dei loro dipendenti cui succhiano la vita con pretese di produttività da collasso (in Germania i redditi crescono del 50% in meno rispetto alla media europea con una produttività del 35% superiore, e, infatti, i consumi interni sono crollati); “rentiers” sono i gestori degli Hedge Funds della City di Londra, gli speculatori che estraggono fortune inaudite proprio dall’attacco al tessuto economico di intere nazioni attraverso l’uso della scommessa finanziaria pura.
Questi sono i nuovi “rentiers”, odiano il Capitalismo dei consumi, sono tornati al timone dell’economia, e, come detto, hanno in comune particolarmente il desiderio di estrarre dal terreno produttivo di aziende e cittadini un profitto del tutto parassitario. Per riconquistare il potere perduto un secolo fa e al fine di attuare il loro programma, essi pensarono a un’intera struttura politico-economica, le cui forme larvali comparvero 75 anni fa, e la cui massima espressione è oggi l’Eurozona. Questo il pubblico non sa, voi non sapete. Questo è il vero colpo di Stato finanziario.

Stefano Fugazzi – Qual è il tuo punto di vista sul salvataggio “forzato” della Grecia?
Paolo Barnard – È una delle tante tappe verso la distruzione del sud Europa per il profitto del Neomercantilismo tedesco. E, come fu per il golpe in Cile nel 1973, si tratta di un avvertimento agghiacciante a Italia e Spagna.

Stefano Fugazzi - Proviamo a disegnare uno scenario alternativo. La crisi – al pari di quella degli anni ’30 e ’40 – è in realtà una crisi programmata. Il Vero Potere sono le grandi banche d’affari che vorrebbero più semplicemente acquisire asset e penetrare nuovi mercati a fronte di un minore esborso.
Paolo Barnard – No, è molto più articolato di così. Come già detto, l’elemento che unisce Wall Street ai “rentiers” europei è il desiderio di estrarre immense fortune parassitarie, truffando, sfruttando, e senza assolutamente produrre alcuna reale economia.

Stefano Fugazzi – Quale sarà secondo te il prossimo “step evolutivo” dell’UE? Un nuovo trattato?
Paolo Barnard – Dopo il Fiscal Compact, probabilmente tenteranno di introdurre nuove modifiche ai Trattati nello stesso senso, cioè quello di prosciugare a sangue sia ogni residuo di sovranità statale, che le nostre economie produttive, così da veramente ridurre gran parte dell’Europa a masse di poveracci del tutto sottomessi alla Bruxelles dei “rentiers” e senza via d’uscita. Hanno ancora tanto da divorare: tutti i servizi pubblici residui, e soprattutto l’imposizione fiscale, che vorranno trasferita alla Commissione Europea in esclusiva, così da ammazzare veramente anche quel briciolo di politiche di spesa statale ancora rimasto.

Stefano Fugazzi – In passato hai lavorato per giornali e TV. Fino a che punto la visione della realtà è manipolata dal Vero Potere?
Paolo Barnard – Non c’è un punto. Se ci fosse avemmo speranza nei media. Neppure io mi ero reso conto del grado di controllo e intimidazione che il Vero Potere esercita nei media fino all’evento di Rimini. Incredibile, ben oltre Orwell. Immagina: cinque grandi economisti mondiali, il tema è da prima pagina, e ci sono 2.000 persone paganti per capire il Golpe Finanziario e come reagire. La notizia non è uscita neppure sui tabloid da supermercato, zero totale. Sappiamo di una troupe di una tv nazionale nota che è stata addirittura richiamata in sede mentre veniva a Rimini. Questo testimonia che il nostro messaggio è veramente l’unico che terrorizza il Vero Potere.

Stefano Fugazzi – Quali sono i tuoi prossimi progetti editoriali e culturali?
Paolo Barnard – Continuerò a battermi per la MMT e per l’instaurazione di uno Stato, a moneta sovrana, che spenda a deficit positivo per il benessere del 99% della popolazione. Questa è la vera democrazia. Un impegno per cui vale davvero battersi.

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Paolo Barnard ha lavorato per innumerevoli testate nazionali fra quotidiani e periodici, come La Stampa, Il Manifesto, Il Corriere della Sera, Il Mattino, Il Secolo di Genova, La Repubblica, La Voce di Montanelli e Oggi. Per la televisione in RAI con Samarcanda di Santoro durante la Guerra del Golfo (1991) e con Report per dieci anni, avendolo co-fondato (1994-2004). Per riviste di cultura come Micromega, Altrove, Golem del Sole 24 Ore, e per agenzie di stampa e testate online. Ha recentemente pubblicato un saggio “Il Più Grande Crimine” dove vengono approfondite in dettaglio molti degli argomenti trattati nell’intervista rilasciata a InvestireOggi.it.
Sito web: http://paolobarnard.info/
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La Modern Money Theory (M.M.T.) è oggi, secondo alcuni, l’unico strumento esistente di scienza economica e sociale che sia in grado di interferire efficacemente con il processo di “finanziarizzazione dell’economia” e di contrastare la preminenza del sistema bancario, che sta sovrastando la politica e la democrazia. L’aspetto principale della Modern Money Theory (M.M.T.) è mettere al centro la capacità dello Stato sovrano di creare ricchezza emettendo moneta.
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In data 24-26 febbraio si è tenuto a Rimini un summit sulla Money Market Theory intitolato “Questo è un colpo di Stato finanziario”. Hanno preso parte all’evento: Paolo Barnard (giornalista e scrittore), William Black (J.D., Ph.D., Associate Professor of Law and Economics at the University of Missouri-Kansas City), Michael Hudson (President of The Institute for the Study of Long-Term Economic Trends -ISLET-, a Wall Street Financial Analyst), Stephanie Kelton (Ph.D., Associate Professor of Economics at the University of Missouri-Kansas City), Marshall Auerback (expert in investment management) e Alain Parguez (Emeritus Professor of Economics Ist Class, Université de Franche-Comté at Besançon – France – Faculty of Law, Economics and Political Science).
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